giovedì 11 febbraio 2010


Gli agapanti
Non ci sono asfodeli, né viole, né giacinti:
come parlare ai morti?
I morti non sanno il linguaggio dei fiori:
per questo tacciono,
viaggiano e tacciono, patiscono
e tacciono
nel paese dei sogni, nel paese dei sogni.

Se mi metto a cantare, grido,
se grido
gli agapanti m'impongono silenzio
levando una manina di azzurro bambino d'Arabia
o le palme di un'oca nell'aria.

È gravoso, difficile. Non mi bastano i vivi,
primo, perché non parlano,
poi perché debbo interrogare i morti
se voglio andare avanti.
Altro modo non c'è.

Come mi prende sonno
i compagni recidono gli spaghi
d'argento e l'otre dei venti si vuota.
Lo riempio, si vuota, lo riempio, si vuota.
Mi desto
come l'orata che nuota
nei varchi della folgore.
Il vento, l'alluvione, i corpi umani,
gli agapanti confitti come frecce del fato
sulla terra assetata
squassati da spasmi
paiono caricati su un carro vetusto
traballante su strade rotte e selciati vecchi,
gli agapanti, asfodeli dei negri:
come imparare questa religione?

La prima cosa che Dio fece è l'amore
poi viene il sangue
e la sete del sangue
che il seme del corpo come un sale
pungola.
La prima cosa che Dio fece è un lungo viaggio:
e la casa in attesa
con il fumo celeste
con un cane invecchiato che aspetta,
per morire, il ritorno.
Ma bisogna che i morti mi insegnino il cammino.
Sono questi agapanti che li tengono muti
come il fondo del mare o l'acqua nel bicchiere.
E i compagni rimangono nella reggia di Circe
(caro Elpènore. Elpènore, mio povero imbecille!)
o - non li vedi? («Aiuto!») –
sopra la nera cresta di Psarà.

Ghiorghios Seferis (1900-1971). Nel 1942, console a Londra, dopo il crollo militare della Grecia nella II guerra mondiale, segue il governo greco in esilio nel Sud Africa. L'odissea personale di Seferis coincide con quella del suo popolo. L'ultimo verso allude alla sconfitta dei patrioti greci a Psarà da parte dell'Impero Ottomano nel 1824. Gli agapanti, esotici fiori originari dell'Africa meridionale, visti nella terra d'esilio diventano per lui simbolo della violenza bellica, ma anche di un mondo ostile e indifferente al dolore del poeta e di chi soffre per la libertà e per la giustizia. Anche per questo vorrebbe come Ulisse interrogare i morti.

E noi? Chi interrogheremo noi per ritrovare una patria, se i vivi non parlano, se abbiamo perso la strada verso casa?

Nessun commento:

Posta un commento