venerdì 5 febbraio 2010

Approvata la riforma della scuola superiore

Ieri la riforma Gelmini è stata, come era prevedibile, approvata dal Consiglio dei ministri. Entrerà in vigore da quest'anno nelle prime classi del nuovo ordinamento. Non mi dilungo su quanto ho detto precedentemente della riforma, metto in atto invece una mia forma di resistenza civile. Al taglio delle ore, anche nelle classi non soggette alla riforma, all'affermazione del capo del Governo che i ragazzi di oggi non in grado di sopportare più ore di lavoro scolastico impegnativo (viziati o imbecilli,etimologicamente zoppicanti, senza bastone; e ha ragione, dato che anche il governo si impegna a privarli del sostegno indispensabile di una buona educazione)oppongo su questo blog una serie di interventi complessi, adatti a tanti studenti che conosco e rivolti a chiunque abbia il tempo e il desiderio di meditare/medicare (e perdonatemi la fissazione sull'etimologia, il fatto è che la parola è un condensato di storia e di civiltà, non è stata inventata, nè sempre utilizzata per ingannare o imbonire le masse).

Scrive Roberto Mussapi, (22 gennaio 2010, 20° anniversario della morte di Giorgio Caproni, da Avvenire)

Giorgio Caproni con forza straordinaria seppe fare musica dal dolore della seconda guerra mondiale. Fu proprio la guerra, fu il buio a plasmare il suono della sua magnifica poesia, quegli anni di buio e dolore ne resero aspra la voce, forgiandola a quello che sarebbe divenuto un continuo e cangiante concerto per violoncello (Bach), un suono d'arco tagliente e profondo nel silenzio. Musicale quanto altre mai, la voce di Caproni non ha nulla della musicalità di cifra meridionale, felice e splendida dei suoi contemporanei (Quasimodo, Gatto), che è per natura inscindibile dalla malinconia. In Caproni non esiste la sfera della melanconia, ma invece la realtà di un perennemente acceso e vibrante dolore. Bruciante, raschiante, la sua poesia. Con quella lingua unica ed aspra di dolcezze subliminali scrisse un grande libro incessante su quelli che Giovanni Raboni identificò essere i suoi tre temi: la città, il viaggio, la madre. Una triade conclusa e assoluta: la madre rimanda all'origine e alla donna, la città al luogo dove consistere, al teatro del mondo, il viaggio alla natura perennemente mobile, curiosa dell'uomo. In tal senso(…) il suo libro mito fu il magnifico Il passaggio di Enea, scritto fra il 1943 e il 1955, dove la figura di Enea, il viaggiatore esule, appare come ombra nella città di Genova, dove Caproni si trasferì a 10 anni e che amò sempre, prima fisicamente vivendoci, poi, trasferitosi a Roma, come immagine della felicità toccata e perduta. La funicolare, l'incanto di una città sempre in salita, l'ansia del viaggiatore che si muove tra le ombre del porto, creano uno dei massimi libri della poesia italiana del Novecento. Un libro assoluto del viaggio dell'uomo tra tempo e oltretempo, sospeso sulla funicolare come in bilico tra il cielo e la gravità, nelle nebbie di un porto in cui si celano partenze e attracchi.

III Epilogo da Il passaggio di Enea

Sentivo lo scricchiolio,
nel buio, delle mie scarpe:
sentivo quasi di talpe
seppellite un rodio
sul volto, ma sentivo
già prossimo ventilare
anche il respiro del mare.

Era una sera di tenebra,
mi pare a Pegli, o a Sestri.
Avevo lasciato Genova
a piedi, e freschi
nel sangue i miei rancori
bruciavano, come amori.

M'approssimavo al mare
sentendomi annientare
dal pigolio delle scarpe:
sentendo già di barche
al largo un odore
di catrame e di notte
sciacquante, ma anche
sentendo già al sole, rotte,
le mie costole, bianche.

Avevo raggiunto la rena,
ma senza avere più lena.
Forse era il peso nei panni,
dell' acqua dei miei anni.

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