sabato 13 marzo 2010

Piccolo testamento

Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o di officina
che alimenti
chierico rosso o nero.
Solo quest'iride posso
lasciarti a testimonianza
di una fede che fu combattuta,
d'una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, dell'Hudson, della Senna
scuotendo l'ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora.
Non è un'eredità, un portafortuna
che può reggere all'urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l'estinzione.
Giusto era il segno: chi l'ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio
non era fuga, l'umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.
(da "La bufera ed altro")

Il mio Montale, lo rileggo e me lo ritrovo accanto in ogni stagione del nostro presente. Dalla cenere della storia risorgono oppressioni sempre nuove e mettono a dura prova la fede nella vita e soprattutto lo sforzo di salvaguardare da ogni assalto subdolo la propria "decenza quotidiana", a costo di apparire rinunciatari o vili. Ma un poeta ha il suo fuoco, sa guardare nell'ora e nel poi con altri occhi. Lo inorgoglisce la piccola traccia che balugina nella sua parola come speranza: l'affida ai suoi "fedeli" come segno distintivo, symbolon, perchè ovunque possano ritrovarsi.

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